La strategia di Kim: il modello svizzero per un partenariato strategico ed economico tra le due Coree

Non è ancora trascorso un decennio da quando Kim Jong-un è salito al potere in Corea del Nord, eppure dal 2011 ad oggi sono state numerosissime le sue mosse eclatanti rivolte al mondo esterno. Infatti, rispetto ai suoi predecessori, il nonno Kim Il-sung e il padre Kim Jong-il, le sue provocazioni internazionali si sono intensificate e concentrare in un ristretto frangente temporale, sia in ambito missilistico che in quello nucleare. Questa sua condotta alquanto spregiudicata è maturata e si sta tuttora evolvendo in un contesto internazionale caratterizzato da una profonda trasformazione degli equilibri geopolitici, trasformazione della quale la regione dell’Estremo Oriente con i suoi componenti, in primis la Cina, è tra i principali protagonisti. Kim ha seguito perciò con attenzione anche e soprattutto queste dinamiche prima di lanciare segnali di sfida all’ordine internazionale proprio mentre quest’ultimo si trova in una fase di transizione sistemica; Trasformazione e transizione sono concetti che ben si addicono ad una situazione globale fluida, lontana dai rigidi schemi della guerra fredda e caratterizzata dalla competizione di più potenze per estendere la loro influenza su numerosi piani, per esempio quello politico attraverso la ricerca di nuovi alleati o meglio partners strategici. Gli schieramenti attuali degli attori della regione in questione infatti non sempre coincidono con quelli del periodo bipolare, anzi, si pensi al nuovo orientamento geostrategico al quale sono andati incontro Stati come il Vietnam e le Filippine, oltre alla trasformazione della bussola di politica estera che pare essere attualmente in atto nel sud della penisola coreana. In un panorama del genere quei piccoli Stati che dispongono nel loro repertorio di qualche carta geo-strategicamente rilevante e si trovano in una condizione politica peculiare possono provare a giocare i loro assi sfruttando le rivalità tra le grandi potenze e la fluidità contingente per ottenere cospicui guadagni in termini di ruolo e di posizionamento geopolitico. Attualmente in Asia orientale questa dinamica sembra essere incarnata dalla Corea del Nord, soprattutto per via della sua collocazione geografica, il confronto crescente e indiretto tra Washington e Pechino e la condotta estera provocante di Kim. Infatti, sebbene sia consapevole dei rischi che comporta l’implementazione di questa linea di politica estera, il leader nordcoreano sembra persuaso che il perseguimento di essa possa portare al proprio paese rilevanti benefici politici, di sicurezza ed economici nel medio e lungo periodo. Perché?

Se osserviamo una mappa dell’Estremo Oriente, notiamo come la penisola coreana funga da ponte naturale tra il continente asiatico e l’arcipelago nipponico, oltre ad essere parte integrante del rimland[1] nel lessico geopolitico. Risalta inoltre il fatto che essa sia circondata da veri e propri giganti in termini politici, economici, demografici e militari: alla sua estremità settentrionale ci sono infatti i confini terrestri di Cina e Russia mentre verso sud il confine marittimo è condiviso con il Giappone. Un altro elemento che attira l’attenzione è l’avanzato sviluppo delle infrastrutture nelle zone limitrofe al di la dei confini terrestri nord-coreani e le grandi potenzialità di sviluppo che ciò implica per l’evoluzione economica di questo piccolo Stato nei prossimi anni a livello di interconnessioni; Si pensi al transito di pipelines e linee ferroviarie lungo l’intera penisola, per esempio, soprattutto alla luce del fatto che la nuova via della seta cinese si accinge ad attraversare anche la penisola coreana per poi raggiungere il Giappone. Per quanto concerne il dato demografico, il nord della penisola conta 24 milioni di abitanti i quali rappresentano un mercato potenziale per gli anni a venire. Il regime negli ultimi anni ha introdotto timide riforme economiche e vi è stata una modesta crescita economica che sembra durare tuttora nonostante le sanzioni internazionali, questo sta permettendo la graduale formazione di una classe media. Ad esempio, il centro produttivo di Kaesong rappresenta un esperimento economico inter-coreano oramai decennale sotto la sovranità di Pyongyang. Più recente è invece l’apertura di un’ altra sperimentazione economica e amministrativa, quella nella città portuale di Rason, un luogo di transito delle merci cinesi dove il regime ha creato una sorta di zona franca per attrarre gli investimenti di Mosca e Pechino. Quello nordcoreano è perciò un contesto economico peculiare e ad alto potenziale di sviluppo sia sul piano interno che su quello internazionale, nel quale si intravedono i primi segni di cambiamento e di apertura. Un’apertura vincolata dallo Stato e orientata, anche soprattutto per questioni di Realpolitik, al perseguimento di una soluzione win-win per tutti gli attori interessati da vicino all’interazione con Pyongyang.

Per quanto concerna la strategia politica e di sicurezza di Kim nel medio e lungo periodo, questi primi mesi del 2018 stanno rappresentando una svolta distensiva non solo rispetto alle tensioni che hanno visto protagonista il regime di Pyongyang nel corso dell’anno precedente, ma anche e soprattutto nei rapporti pluridecennali tra le due Coree. Nel vertice del 27 aprile Kim e il suo omologo Moon Jae-in hanno convenuto, tra le altre cose, di siglare entro la fine di quest’anno un trattato di pace che ponga formalmente fine alla guerra trai due Stati, di fatto conclusasi con un armistizio nel 1953, 65 anni orsono. Si tratta di un evento significativo e successivo alla recente visita del leader nordcoreano in Cina, oltre che preparatorio e anticipatore di un altro avvenimento ancora più importante, il vertice tra Kim e Trump, senza contare che la diplomazia nordcoreana è al lavoro anche per un incontro di alto livello con rappresentanti russi e giapponesi; Insomma, nessuno dei principali attori regionali è escluso da questa insolita apertura diplomatica di Pyongyang. Insolita perché per portata, contenuto dei negoziati e protagonismo nordcoreano si differenzia sostanzialmente dalle precedenti. Gli esperimenti missilistici e nucleari dello scorso anno oltre a lanciare provocazioni hanno quindi preparato il terreno per l’attuale attivismo diplomatico da parte di Kim, un attivismo che rappresenta un ambizioso tentativo di ridefinizione del ruolo della Corea del Nord nelle relazioni internazionali regionali, e si prefigge di coinvolgere indirettamente tutta la penisola coreana.

Data la peculiare congiuntura internazionale contemporanea caratterizzata dall’ascesa della Cina, il pivot to Asia statunitense e il crescente confronto sino-americano, l’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump con una agenda realista-isolazionista, l’avvicendamento ai vertici politici della Corea del Sud, è probabile che Kim si sia reso conto della singolare opportunità che gli si presentava di fronte per avanzare le istanze politiche ed in secondo luogo economiche del proprio paese ed abbia così agito da protagonista, dapprima in veste di provocatore e poi di negoziatore. I lanci missilistici e lo sviluppo del programma atomico da parte della Corea del Nord possono dunque essere letti come una deliberata messa in mostra dei propri assi vincenti nel momento in cui gli equilibri mondiali e regionali stanno cambiando, mandando al contempo un messaggio diverso ai protagonisti nell’area: di avvertimento e di deterrenza a Stati Uniti e Giappone, di sovranità e indipendenza a Pechino, di cooperazione economica e tutela strategica a Seul, di opportunità nella diversificazione degli equilibri strategici della regione a Mosca. L’inizio del nuovo anno in veste di diplomatico rappresenta invece la volontà di raccogliere i frutti di queste provocazioni mirate attraverso lo strumento del negoziato.

L’Asia orientale rappresenta sempre più il centro delle relazioni internazionali contemporanee e trovare un solido equilibrio tra gli attori è nell’interesse di tutti. Kim attraverso l’arsenale missilistico e nucleare sembra volere puntare sull’equilibrio della deterrenza nella regione e su una maggiore divisione nel campo avversario, come? Allontanando Tokyo e Seul da Washington e creando una partnership strategica ed economica con quest’ultima. In effetti, se da una parte la presenza dell’arsenale nordcoreano spinge il Giappone a dotarsi a sua volta di un proprio arsenale per scopi di autodifesa, dall’altra fornisce a Pyongyang una carta in più nei negoziati con il sud, il quale trovandosi in prospettiva circondato da giganti dotati di armi atomiche sarà indotto a negoziare con la Corea del Nord una tutela strategica in cambio di concessioni sia in ambito politico (la richiesta da parte di Seul del ritiro del contingente di circa 29000 soldati statunitensi presente sul suo territorio, ad esempio) che, e soprattutto, in quello economico. E nel lungo periodo è proprio nell’ambito economico che ci sarebbero i maggiori benefici derivanti dalla cooperazione tra le due Coree. A rendere concretizzabile questa prospettiva contribuisce da parte americana la presidenza di Donald Trump, il quale ha ribadito più volte l’intenzione di allentare i rapporti con gli alleati in favore di una loro maggiore autonomia nella difesa e di un conseguente risparmio nel bilancio statunitense. Bisognerà attendere il vertice tra quest’ultimo e Kim in programma verso la fine di maggio per conoscere la fattibilità di questa geo-strategia. Appare comunque e oramai poco probabile una denuclearizzazione completa della penisola coreana così come uno smantellamento dell’arsenale missilistico di Pyongyang.

La linea geo-strategica di Kim si è quindi focalizzata su due fronti e su due tempi: da una parte e dapprima sullo sviluppo di un determinato tipo di armamenti per creare deterrenza e aumentare il potere negoziale del paese nei confronti degli altri soggetti della regione, dall’altra -e in una prospettiva di lungo termine -sulla predisposizione delle condizioni necessarie affinché l’economia del piccolo Stato possa sviluppare le proprie potenzialità contribuendo al contempo alla prosperità dei vicini, in una soluzione ottimale per tutti gli attori regionali. Il tutto con un occhio di riguardo verso il sud della penisola.

In effetti, l’idea di un partenariato strategico ed economico tra le due Coree che si collochi al di fuori di qualsivoglia alleanza, e perciò in linea di principio neutrale, contribuirebbe a creare uno stabile e duraturo equilibrio regionale. Essa potrebbe avere avuto origine dall’esperienza di studio in Europa, nella Confederazione Elvetica[2] in particolare, del giovane Kim. La Svizzera d’altro canto ben si presterebbe a fungere da modello di una penisola coreana per certi aspetti riunificata. Una penisola unificata sul piano della difesa, per via dell’arsenale nordcoreano, sul piano della politica estera, grazie alla condivisione di una linea comune tra Seul e Pyongyang improntata alla neutralità, e sul piano economico per quanto concerne la cooperazione negli investimenti e nella regolazione degli scambi commerciali tra i due Stati, acquisirebbe maggiore peso sulla scena internazionale; Inoltre, la coesistenza al suo interno di due sistemi politici differenti negli altri ambiti garantirebbe maggiore stabilità interna preservando la diversità e due modelli statuali, ed escluderebbe almeno nel medio periodo la possibilità che in Corea si verifichino le stesse dinamiche che portarono alla riunificazione tedesca del 1990. La partnership economica tra i due Stati sarebbe fondamentale per la tenuta del loro rapporto, fungerebbe da principale collante per consolidare l’intesa coreana nel lungo periodo. Del resto la stessa Svizzera in passato raccoglieva in un entità confederale cantoni di diverso orientamento politico e religioso, eppure la convivenza si dimostrò possibile, costituendo quasi un unicum all’interno del continente europeo. A Pyongyang è presente l’Arco della Riunificazione, un imponente monumento innalzato dal regime per celebrare gli sforzi della Corea del Nord tesi a riunificare la penisola, una testimonianza concreta dell’importanza dell’unità coreana nell’ideologia regime; Kim è molto giovane, ha consolidato il suo potere e ha già dato prova di abilità politica, la sua strategia sembra continuare quegli sforzi per la riunificazione in un’ottica di gradualità temporale, di equilibrio della deterrenza e di compromessi economici. Questa strategia che denominiamo elvetica pare collimare in prospettiva con la crescente importanza economica e strategica dell’Asia orientale.

[1] Nel lessico geopolitico il termine rimland indica la fascia costiera del continente eurasiatico suddivisa in tre grandi zone: la fascia europea, la fascia del Medio Oriente e quella asiatica. In altre parole il rimland rappresenta il perimetro dell’Eurasia. La penisola coreana si colloca nella fascia asiatica settentrionale. Se il rimland è il perimetro, l’heartland è per la disciplina geopolitica il centro dell’Eurasia. Il contenimento dell’URSS da parte statunitense durante la guerra fredda si basava sul controllo indiretto degli Stati situati lungo il rimland mentre i sovietici controllavano l’heartland. Al giorno d’oggi invece gli Stati Uniti stanno perdendo influenza sul rimland, si pensi a Iran, Turchia, Pakistan e soprattutto alla Cina, la quale insieme alla Russia sta rafforzando l’heartland e la sua capacità di proiezione sul rimland.

[2] La confederazione è unione tra due o più Stati che condividono interessi convergenti sul piano della politica internazionale, in particolare essa prevede che i membri costituenti condividano una politica estera, commerciale, di difesa e monetaria comuni. La Svizzera fu una confederazione dei cantoni che la compongono fino al 1848, anno in cui divenne una repubblica federale pur conservando il nome dell’assetto istituzionale precedente.

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