Ambientalismo e crisi. La fine del sogno della sostenibilità

Nel 2006 venne introdotto nel dibattito politico italiano il tema della decrescita. Decrescita. Un termine che si distingueva profondamente da quello, ormai trito, di “crescita sostenibile”. Decrescita vuol dire rifiuto delle forme di sviluppo economiche basate sull’incremento dell’attività industriale, e sulla conseguente rapina e spreco di risorse in tutto il mondo.

Questo per riassumere, ma in realtà il termine contiene anche altre nozioni. Si lega infatti non all’idea di una gestione sostenibile del processo industriale-produttivo, bensì ad un importante cambiamento di rotta: le industrie dovranno servire non a creare merci che possano essere facilmente rotte e sostituite o che diventino presto obsolete, bensì serviranno a produrre beni indispensabili il più duraturi possibile.

Mezzo per mettere in pratica una simile riforma è il rilancio delle economie locali e del consumo di prodotti alimentari locali e stagionali, naturalmente coltivati e allevati biologicamente. Una simile riforma dovrebbe accompagnarsi in un secondo momento ad una revisione della moneta stessa, con la creazione di valute regionali.

Quando i Verdi iniziarono a parlare di decrescita, pochi sapevano di cosa si trattasse, e si sviluppò un dibattito serrato tra partiti e tra elettori per saperne di più. Pochi si informarono con serietà, ma il dibattito fu comunque proficuo, dando inizio ad una riflessione tra i partiti dell’Unione e perfino tra quelli del Polo.

Come spesso accade nella Sinistra, la discussione fu tanto sentita da provocare fratture e malumori. Non solo i Verdi, ma anche i Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista puntarono molto sul tema ambientalista, opponendosi con decisione ad opere pubbliche dannose per l’ambiente, come il traforo della TAV e il fantomatico “ponte” sullo stretto di Messina.

Ma non fu solo una questione legata alla TAV (che tra l’altro provocherà conflitto aperto tra i partiti di Sinistra e i DS/Margherita), bensì una perorazione della causa ambientalista, nel tentativo di introdurre in Italia i germogli di una politica economica basata sull’unica forma di “crescita sostenibile” efficace: la decrescita.

Come ricorda sarcasticamente il francese Serge Latouche, anche la Lavazza sostiene di operare seguendo i criteri delle crescita sostenibile1, così come l’ex direttore generale della Nestlé, che nel 2003 ebbe il coraggio di affermare: “Lo sviluppo sostenibile si definisce facilmente: se vostro bisnonno, vostro nonno e voi siete stati fedeli consumatori della Nestlé, allora vuol dire che abbiamo lavorato in maniera sostenibile”2.

Nel 2006 i Verdi introdussero il discrimine tra crescita sostenibile e decrescita, e il tema infiammò l’opinione pubblica di sinistra. Tanto che Paolo Cacciari venne eletto deputato a Venezia dopo una campagna ambientalista.

Una prova di quanto fosse diventato importante il tema dell’ambiente è anche il fatto che la stessa Lega Nord si propose come partito ambientalista di destra, salvo poi tornare sui propri passi dopo lo stallo alle elezioni di quell’anno.

Bossi ha sempre difeso le verdi pianure e le boscose colline dell’amato nord, ma ha anche difeso i piccoli imprenditori del nord-est, che sono tra i principali responsabili del degrado dell’aria e delle acque della Pianura Padana.

Eppure, in quell’occasione, il tema ambientalista fu talmente vivo da far spaccare la precaria maggioranza antiberlusconiana su numerosi temi: la TAV, ma anche l’inceneritore di Trento, la riconversione della centrale a carbone di Civitavecchia, il problema dell’immondizia in Campania.

Il sangue dell’Italia stava iniziando a colorarsi di verde. Ma l’illusione fu breve. Nel 2008 la Sinistra venne schiacciata dalla campagna del “voto utile” promossa da Veltroni. Lo stesso anno l’ANAS del governo Berlusconi (appena rieletto) rilevò le quote della quasi fantomatica società “Stretto di Messina S.P.A.” spendendo 317.87 milioni di Euro3.

Poi arrivò la crisi economica, e il colpo di grazia per le tematiche ambientaliste. Il crollo delle borse fece stringere le banche a quadrato, in difesa dei propri privilegi. La parola d’ordine di ogni governo (anche di quelli di sinistra) divenne “crescita”. Anche se ciò significava rimarcare il processo distruttivo legato alla produzione industriale.

Pian piano, gli italiani e gli europei dimenticarono il problema dell’ambiente. Alle parole “sostenibilità ambientale”, “protezione delle aree a rischio”, “economia sostenibile”, “prodotto equo e solidale” si sostituirono freddi termini tecnici in grado di atterrire milioni di cittadini, come “Spread”, “BOT” “BTP”, “BUND”.

Dalla teoria, pur annacquata, dello “sviluppo sostenibile”, i governi del mondo hanno propugnato lo sviluppo “a tutti i costi”. Lo spettro della crisi fa tremare i partiti e gli elettorati ancor più delle banche.

E la dittatura delle banche (di cui il governo Monti è lo strumento politico) si manifesta anche in questo radicale cambiamento d’umore: nessuno pensa più che rilanciare l’economia secondo i vecchi criteri di profitto equivale a gettarsi a capofitto nella spirale di spreco e devastazione che sta determinando il declino dell’ecosistema terrestre.

Nonostante il “mutare della marea”, il problema dell’ambiente rimane, ed è più grave che mai. Il degrado della qualità dell’aria e dell’acqua nel mondo non si arresta. Continua ad estinguersi una specie vivente ogni quarantacinque minuti. Mentre le industrie continuano a sfornare prodotti fabbricati con metodi inquinanti, e che devono essere sostituiti nel giro di pochi mesi o al più di pochi anni.

Come una farsa che si aggiunga alla tragedia, parte consistente dei finanziamenti destinati alle energie rinnovabili viene assorbito dalla “sostenibile” produzione di Benzina Verde (prodotta dalla sintesi di oli vegetali e quindi rinnovabile)4.

Solo sul fronte anti-nucleare, dopo il disastro di Fukushima, l’opinione pubblica è riuscita a mobilitarsi compatta e a mietere successi.

La constatazione più amara da fare è che la crisi economica poteva essere un pretesto per rivedere dalle fondamenta il nostro modello di sviluppo, cercando almeno di frenare (se non di fermare) l’anarchia del capitalismo in ambito economico.

Ci provò Obama all’inizio del 2009, proponendo di imporre nuove norme per la gestione delle risorse e cercando di rilanciare l’economia puntando sui finanziamenti alle centrali solari e alle industrie non inquinanti. Ma la maggioranza repubblicana del parlamento bocciò seccamente queste proposte bollandole come “socialiste”. E senza l’esempio americano anche i paesi europei, invischiati nella crisi, stentano a ritrovare quell’indirizzo ambientalista che li aveva pervasi come un brivido.

Alla fine la politica economica ha seguito altre strade, e sebbene raramente una guerra sia decisa da un solo scontro, la causa ambientalista ha perso una battaglia epocale.

Valerio Cianfrocca

Note:

  1. Breve trattato per una decrescita serena, Serge Latouche, 2007.
  2. Così in conferenza stampa nel 2003.
  3. Fonte Wikipedia.
  4. E a parte l’inquinamento, è scandaloso pensare che in un mondo funestato dalla fame una parte non irrilevante dei prodotti agricoli (come la soia) sia destinata alla produzione di Benzina Verde.

7 commenti Aggiungi il tuo

  1. fausto ha detto:

    “…Poi arrivò la crisi economica, e il colpo di grazia per le tematiche ambientaliste….”.
    E’ arrivato anche il colpo di grazia per i consumi di carburante degli italiani; stanno affondando da anni. Tra poco saremo “sostenibili” anche contro la nostra volontà, e non sarà divertente. Avremmo fatto meglio a prepararci…..

  2. Il Bradipo ha detto:

    Come ho avuto modo di ribadire nel precedente articolo (“Ferri e veleni, il prezzo del nostro sviluppo”), l’inquinamento prodotto dalle automobili costituisce solo una parte dell’inquinamento atmosferico, e una percentuale abbastanza bassa dell’inquinamento complessivo. Molto più grave, e molto meno conosciuto è l’inquinamento prodotto dall’attività mineraria, insieme a quello industriale. Cambiando la gestione di queste attività si possono ottenere risultati decisivi; in fondo quello delle automobili è un problema meno grave di altri.
    E comunque a mio parere gli italiani come sempre protestano borbottando, ma non mi sembra che per il momento ci sia stata una contrazione imponente dei consumi…
    Comunque, sul fatto che entro qualche anno diventeremo “sostenibili” volenti o nolenti sono d’accordo, e naturalmente se ci fossimo preparati per tempo la nostra Decrescita sarebbe stata “serena” (per parafrasare Latouche).

  3. fausto ha detto:

    “…non mi sembra che per il momento ci sia stata una contrazione imponente dei consumi…”.

    Il bollettino dell’Unione Petrolifera segnala che tra febbraio 2011 e febbraio 2012 il consumo nazionale di benzine è variato di un -20,3%; i gasoli giù anch’essi a -12,2%. In effetti non è una contrazione, ma piuttosto una disfatta. Particolarmente colpita l’industria della raffinazione, con impianti chiusi e riaperti a singhiozzo: la mancanza della materia prima libica ha colpito anche noi, e non solo i player indipendenti sovranazionali. Comunque si tratta di trend discendenti che proseguono senza sosta almeno dal 2004…..

  4. Il Bradipo ha detto:

    Si infatti mi sembrava si trattasse di un fenomeno di lunga durata: i prezzi sono in ascesa costante da quasi 10 anni… La crisi ha dato un bel colpo, ma meno benzina venduta non vuol dire automaticamente meno inquinamento prodotto: basti pensare a disastri accidentali come quello della BP in Messico

  5. Il Bradipo ha detto:

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    Sincerely, Valerio Cianfrocca

  6. Il Bradipo ha detto:

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    Sincerely yours, Valerio Cianfrocca

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